Isnenghi: della Grande Guerra si bypassano motivazioni e scopi

Lunedì, 19 maggio 2014

In occasione del convegno L’Europa delle guerre, l’Europa della pace che la Cisl del Veneto ha organizzato lo scorso 12 maggio a Verona abbiamo posto al prof. Mario Isnenghi alcune domande sulla Grande Guerra e l’Europa. Mario Isneghi, veneziano, è uno dei maggiori storici italiani della Prima Guerra Mondiale sulle cui vicende ha pubblicato numerosissimi libri. E’ consulente storico della serie “1914-2014, Grande Guerra” curata da RAI Storia e RCS. 

Prof. Isnenghi attorno al centenario della Grande Guerra si è creata una grande attenzione anche da parte dei semplici cittadini. Lei stesso riceve già da tempo richieste sempre più numerose ad intervenire in occasioni di conferenze, convegni, incontri sul tema. Come spiega questa voglia di conoscere e comprendere quello che accadde in Europa 100 anni fa e come la valuta?

Confermo il  grande interesse diffuso, che è  somma  di diverse spinte e motivazioni. Le motivazioni e gli scopi di allora contano poco, anzi li  bypassiamo con  negligenza . E’  una  grande avventura  collettiva , un  grande dramma, una  grande strage:  vita   vissuta, milioni di vite gettate allo sbaraglio,che si sono  continuate a raccontare, diventando  favola;  ma anche i  boschi delle  favole sono piene di lupi e orchi. E  più  siamo -  relativamente –in tempo di pace, più  ci attira quell’ altro mondo della  guerra.

Semplificando un po’ i processi storici non è sbagliato affermare che l'Europa mise da parte la guerra come strumento per risolvere i suoi problemi solo dopo aver intrapreso la via della sua unificazione. E' corretta questa analisi?  Ritiene che l'unione sia ancora oggi il fattore determinante per la pace in Europa e come valuta le posizioni di chi invece si propone di tornare agli stati nazionali?

Non è  l’Europa  unificata in se stessa  che  impedisce la guerra, ma …la  volontà e  capacità  di non farla. Gerarchie e poteri differenti si riproducono  su altra base, e  non è che sia poco, ovviamente. Quanto agli  ‘stati nazionali’ non li vedrei necessariamente e  in se  stessi  come nemici .Sarà  un processo lungo, perché  essi possano diventare ed essere  sentiti come  le ‘regioni’ nell’ambito  di un  nuovo spazio collettivo di cui essere e sentirsi cittadini.