Isnenghi: della Grande Guerra si bypassano motivazioni e scopi

In occasione del convegno L’Europa delle guerre, l’Europa della pace che la Cisl del Veneto ha organizzato lo scorso 12 maggio a Verona abbiamo posto al prof. Mario Isnenghi alcune domande sulla Grande Guerra e l’Europa. Mario Isneghi, veneziano, è uno dei maggiori storici italiani della Prima Guerra Mondiale sulle cui vicende ha pubblicato numerosissimi libri. E’ consulente storico della serie “1914-2014, Grande Guerra” curata da RAI Storia e RCS.
Prof. Isnenghi attorno al centenario della Grande Guerra si è creata una grande attenzione anche da parte dei semplici cittadini. Lei stesso riceve già da tempo richieste sempre più numerose ad intervenire in occasioni di conferenze, convegni, incontri sul tema. Come spiega questa voglia di conoscere e comprendere quello che accadde in Europa 100 anni fa e come la valuta?
Confermo il grande interesse diffuso, che è somma di diverse spinte e motivazioni. Le motivazioni e gli scopi di allora contano poco, anzi li bypassiamo con negligenza . E’ una grande avventura collettiva , un grande dramma, una grande strage: vita vissuta, milioni di vite gettate allo sbaraglio,che si sono continuate a raccontare, diventando favola; ma anche i boschi delle favole sono piene di lupi e orchi. E più siamo - relativamente –in tempo di pace, più ci attira quell’ altro mondo della guerra.
Semplificando un po’ i processi storici non è sbagliato affermare che l'Europa mise da parte la guerra come strumento per risolvere i suoi problemi solo dopo aver intrapreso la via della sua unificazione. E' corretta questa analisi? Ritiene che l'unione sia ancora oggi il fattore determinante per la pace in Europa e come valuta le posizioni di chi invece si propone di tornare agli stati nazionali?
Non è l’Europa unificata in se stessa che impedisce la guerra, ma …la volontà e capacità di non farla. Gerarchie e poteri differenti si riproducono su altra base, e non è che sia poco, ovviamente. Quanto agli ‘stati nazionali’ non li vedrei necessariamente e in se stessi come nemici .Sarà un processo lungo, perché essi possano diventare ed essere sentiti come le ‘regioni’ nell’ambito di un nuovo spazio collettivo di cui essere e sentirsi cittadini.